Gone Girl di David Fincher con Ben Affleck, Rosamund Pike, Neil Patrick Harris, Tyler Perry, Carrie Coon, Kim Dickens, Patrick Fugit, Emily Ratajkowski, Missi Pyle, Lisa Banes, David Clennon, Casey Wilson, Sela Ward, Boyd Holbrook, Lola Kirke, Scoot McNairy, Lee Norris

SPOILER

gone girl“When I think of my wife, I always think of her head. I picture cracking her lovely skull unspooling her brain, trying to get answers… the primal questions of any marriage. «What are you thinking?» «How are you feeling?» «What have we done to each other?»”.
(“Quando penso a mia moglie, penso sempre alla sua testa. Immagino di rompere quello splendido cranio per srotolarle il cervello, cercando di ottenere delle risposte… le domande fondamentali di qualunque matrimonio. «A cosa stai pensando?» «Cosa provi?» «Come ci siamo ridotti così?»”).

A che cosa pensa una rappresentazione? Cosa prova? E quello che pensa o prova è reale? È vero? Le domande che Nick Dunne si pone accarezzando delicatamente la testa della moglie, Amy Elliott Dunne, potrebbero essere ribaltate e espresse in questo modo, ma in entrambi i casi non ci sarebbero risposte autentiche.

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Profondo rosso di Dario Argento con David Hemmings, Daria Nicolodi, Gabriele Lavia, Glauco Mauri, Macha Méril, Giuliana Calandra, Clara Calamai, Eros Pagni, Nicoletta Elmi

profondo rosso 1Pochi film hanno la potenza evocativa di Profondo rosso (1975, restaurato in occasione del suo prossimo quarantennale, e proiettato al 32. Torino Film Festival), insinuandosi nell’immaginario di chiunque abbia avuto l’occasione di vederlo in maniera definitiva. Il capolavoro di Dario Argento non ha perso nemmeno un briciolo del suo magnetismo, anzi, a una seconda, terza, decima visione continua a acquistare fascino. Come il protagonista alla fine del film non riesce a smettere di guardare, terrorizzato e sconvolto, la profondo rosso 2pozza di sangue nella quale si specchia, lo spettatore é incapace di distogliere gli occhi dallo schermo, come se, a sua volta, lo schermo lo ri-guardasse.

Profondo rosso é, in effetti, non solo un’opera capitale per il genere thriller/horror (chi ha fatto cinema successivamente non può non tenerne conto), ma una delle più sorprendenti riflessioni sullo sguardo e sul cinema, sulla meccanicità dello sguardo (e della ripresa cinematografica) e su quel che sfugge a questa ripetizione macchinica.

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Nova Dubai di Gustavo Vinagre con Gustavo Vinagre, Bruno D’ugo, Hugo Guimarães, Fernando Maia, Herman Barck, Caetano Gotardo, Daniel Prates

nova dubai 1Di fronte al paesaggio devastato da palazzoni e nuovi grattacieli, anonimi dormitori in costruzione, la riappropriazione dello spazio passa attraverso il corpo, unica arma a disposizione per occupare un territorio, con i propri umori, il proprio desiderio. Il protagonista vaga nel quartiere della sua infanzia, irriconoscibile e deturpato, un enorme cantiere a cielo aperto. Trascorre le sue giornate col compagno, chiacchierando con un amico poeta che vorrebbe suicidarsi, incrociando un altro amico ossessionato dal cinema horror, e trovando nel sesso una via di liberazione.

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One Cut, One Life di Ed Pincus, Lucia Small con Ed Pincus, Lucia Small, Jane Pincus

one 1Qual è il limite per un regista? Fino a dove può arrivare a mostrare la realtà? A che punto, all’interno di un documentario sulla vita e sulla morte di un uomo, sull’esistenza di chi vive con lui, ci si deve fermare?

Quando Ed Pincus, figura capitale del cinema documentario, scopre di avere una grave malattia che in breve lo porterà a sviluppare la leucemia, decide di filmare il tempo che gli resta in un ultimo film con Lucia Small, con cui aveva già collaborato in passato.

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daniel hui1Nel tuo film ritornano spesso sequenze in cui è presente il fuoco e altre in cui scorrono immagini del paesaggio. Pensavo che lo scorrere veloce delle immagini dei luoghi fosse simile allo scorrere del tempo. Allo stesso modo il fuoco brucia i ricordi e la memoria (pellicole, libri).
Per me il fuoco significa molte cose, ha significati diversi. Il fuoco è qualcosa che distrugge, ma è anche qualcosa che crea. Non è molto chiara la sua funzione. C’è una frase di James Baldwin che dice No more water, the fire next time (non più acqua, il fuoco la prossima volta). Poi penso alla situazione politica di Singapore. Nel film vengono inserite molte cose: cose che hanno un riferimento spirituale, segni di qualcosa che è accaduto, ricordi intimi delle persone comuni. E poi arriva il fuoco. C’è sempre quest’idea che il fuoco debba distruggere. Anche il cinema distrugge. Esiste, in un certo senso, un cinema distruttivo. Il cinema può darti un accesso al passato ma, al tempo stesso, distruggere il presente. Oppure viceversa. Può distruggere per creare qualcosa di nuovo. E di vivo.

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Snakeskin di Daniel Hui

snakeskin 1Snakeskin è uno strano oggetto cinematografico, personalissimo, una specie di geografia scontornata. Un film molto complesso, costruito su più livelli – storico, personale, immaginifico, inconscio –, dal fascino indiscutibile, misterioso. La protagonista è Singapore, raccontata attraverso tre miti fondativi, che fungono da colonne portanti della narrazione – la sua creazione da parte del principe Srivijayan nel 1299; la costituzione della colonia britannica nel 1819, per mano di Thomas Stamford Raffles; l’elezione, il 21 novembre del 1954, del governo che vede vincitore il People Action Party (PAP), nato per mano di Lee Kuan Yew, e che è tuttora in carica – ma che vengono contrappuntati da una serie di storie intime e private: una storia d’amore, il legame burrascoso tra una madre e una figlia, il lavoro di uno sceneggiatore che ha vissuto il periodo della fiorente industria cinematografica malese. È curioso come proprio attraverso il lavoro nel cinema la società di Singapore sveli la molteplicità delle sue anime: malese, indiana, cinese, inglese. Ogni cultura ha le proprie competenze specifiche: dunque si scopre che i malesi sono buoni registi, mentre gli indiani ottimi direttori della fotografia e montatori. Eppure, nel film, tutti i ricordi, i segni del tempo, la memoria passata, sembrano scomparire: più volte si chiede di bruciare le vecchie pellicole poiché, montandole, quelle immagini porterebbero con sé qualcosa di malvagio. Daniel Hui si fa carico del rischio e decide di indagare quei fotogrammi che scaturiscono dalla sua immaginazione, per cercare di capire la condizione del suo Paese.

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Abacuc di Luca Ferri con Dario Bacis

Tre ordini di simulacri si sono succeduti dopo il Rinascimento, parallelamente alle mutazioni della legge del valore:
– La contraffazione è lo schema dominante dell’epoca «classica», dal Rinascimento alla rivoluzione industriale.
– La produzione è lo schema dominante dell’era industriale.
– La simulazione è lo schema dominante della fase attuale retta dal codice.
Il simulacro di primo ordine specula sulla legge naturale del valore, quello di secondo ordine sulla legge mercantile del valore, quello di terzo ordine sulla legge strutturale del valore.
Jean Baudrillard, Lo scambio simbolico e la morte

abacuc 1Abacuc è un personaggio alieno e umanissimo, appartenente a un’umanità terminale, ultimo superstite in un territorio sfinito, fatto di cimiteri e parchi tematici, ruderi e voci registrate che ripetono all’infinito messaggi slegati e privi di connessione logica. In un certo senso è il testimone giunto al termine della Storia: nessuno parla con lui, lui non parla con nessuno, non c’è contrapposizione. Tutto è bloccato, stremato, reiterato. Forse la sua presenza non è nemmeno reale, ma una specie di riflesso sbiadito di un tempo che è stato e che non è più, come se dell’uomo rimanesse un’eco, simile a quella delle voci dei morti che si sovrappongono e confondono senza dire nulla. Anche il passato è scomparso.

La voce della Marchesa di Montetristo, che annuncia, tra le altre cose, la morte di Igor’ Stravinskij altro non è che la simulazione della voce di una persona: non ha tono, non ottiene risposta, dice frasi sconnesse, che una voce maschile ripete in inglese, con piccole variazioni prive di importanza.

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It Follows di David Robert Mitchell con Maika Monroe, Keir Gilchrist, Daniel Zovatto, Olivia Luccardi, Lili Sepe, Jake Weary

it followsChe il teen-horror americano sia un genere sessuofobo – rispecchiando il rapporto contraddittorio che la società americana ha col corpo – non é una novità. Il canovaccio tende a ripetersi, con la giovane coppia che, in riva al lago o appartata in un bosco oppure nella stanza dei genitori assenti, fa l’amore poco prima di essere trucidata dall’assassino di turno. Da quel momento il sesso viene bandito per il resto del film. In piena età postmoderna, dove molti hanno mischiato i codici, smascherandone i meccanismi – in questo senso rimane paradigmatico, per l’ironico smembramento del modello, Scream 4 (2011) di Wes Craven -, dopo un primo momento di esaltazione collettiva, in cui il gioco combinatorio sembrava non dover finire mai, é sopraggiunta una certa stanchezza a indagare il genere (divenuto genere a sua volta), riducendo l’immaginario che lo alimentava a un pianetino asfittico e moribondo.

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Madonna mia violenta di Josephine Decker con Josephine Decker, Zefrey Throwell
Gone Wild di Josephine Decker con Josephine Decker
Thou Wast Mild and Lovely di Josephine Decker con Sophie Traub, Joe Swanberg, Robert Longstreet, Kristin Slaysman

josephine deckerNonostante dichiari di lavorare in maniera pulsionale, Josephine Decker ha uno stile straordinariamente consapevole nel muoversi attraverso il genere (maschile/femminile) e i generi (horror, melodramma, erotismo). Il risultato è un punto di vista molto netto e definito sulla costruzione dello sguardo e, di conseguenza, sulla decostruzione di archetipi ai quali, grazie a un’ironica messa in scacco, dona nuova forza.

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